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Cinture e gradi nelle arti marziali – M° Fabio Smolari –

Questo articolo è stato richiesto al maestro Smolari, per fare un po’ di chiarezza su un argomento poco affrontato che però è sotto gli occhi di tutti. Ringraziamo il maestro Smolari per la disponibilità e la rapidità con cui ha accolto la richiesta.

karate
Quando chiedevamo ai maestri cinesi come mai non usassero le cinture, ci rispondevano spesso  “le cinture servono solo a tener sù i pantaloni!” specificando che l’uso delle cinture colorate era una cosa “giapponese” e non cinese.
Eppure nell’immaginario dell’uomo occidentale l’arte marziale risulta indelebilmente legata alla cintura, con la consapevolezza che la nera ne indica l’esperto, perché?
Per capire le ragione di questa cosa bisogna andare indietro nel tempo e fare un po’ di storia.
 
L’arte marziale moderna nasce con Jigoro Kanō (1860-938) fondatore del judō, che nel 1909 fu il primo delegato asiatico nel Comitato Olimpico Internazionale.
Senza di lui, e senza la sua trasformazione dell’arte marziale antica in sport, questa sarebbe probabilmente morta o sopravvissuta solo come spettacolo circense.
 
Kanō creò un sistema pedagogico e un’organizzazione per diffondere la sua nuova disciplina. Fu lui ad inventare i gradi, copiandoli dal gioco degli scacchi, ad introdurre una divisa – il judogi nel 1882 – e una cintura – obi – per tener chiusa la giacca, dal momento che lottando si apriva in continuazione. Attribuì a due settori – principianti ed esperiti – cinture di colore diverso, rispettivamente bianca e nera, in modo da poter dividere meglio le classi.
 
Questo sistema fu copiato anche da Gichin Funakoshi (1868-1957) che portò il karate in Giappone da Okinawa, dove gradi e cinture non esistevano. Nel 1924 Funakoshi aprì la prima palestra di karate e Tokyo e adottò il già consolidato sistema di gradi e cinture del judō. 
 
Mikinosuke Kawaishi
Nel frattempo il judō era sbarcato anche in Europa e cercava di farsi strada in Inghilterra e in Francia. Mikinosuke Kawaishi (1899-1969) viaggiò prima negli USA negli anni ’20, poi in UK e infine in Francia nel 1935 dove restò per tutta la vita. A lui si attribuisce l’invenzione delle cinture colorate per i gradi inferiori kyū, al fine di raggruppare meglio i livelli dei principianti.
 
L’idea si rivelò vincente, poiché permetteva un avanzamento con obiettivi a breve termine per gli studenti e un’idea di crescita graduale, assai apprezzata dal pubblico occidentale.
Il sistema venne presto adottato anche dalle altre arti marziali giapponesi e coreane e venne introdotto anche nel Giappone stesso, commercialmente assai reattivo a cavalcare l’onda giusta.
 
Quando i primi insegnanti cinesi di kungfu giunsero in Occidente si trovarono un mercato già occupato dalle arti marziali giapponesi e dai loro modelli organizzativi.
Restavano due strade: fare come s’è sempre fatto – e alcuni fecero così – oppure adottare i sistemi che parevano funzionare per i concorrenti, tipo i vestitini e le cinture colorate, cosa che in effetti in molti fecero nella speranza – spesso vana – di attirare più clienti alla loro porta.
L’arte marziale cinese non aveva però strutture istituzionali come il Kodokan o la JKA in Giappone, quindi non v’era alcuna forma di standardizzazione dell’insegnamento. 
Tanti stili diversi, percorsi diversi, tradizioni diverse e gente diversa che spesso non parlava nemmeno la stessa lingua, ecco che ogni insegnante e ogni scuola adottò un suo sistema di cinture e un suo sistema di livelli, risultato: un discreto caos!
 
Ma siccome i danni non vengon mai soli, dopo anni trascorsi in discussioni tra cinturisti e anti-cinturisti, kimonisti e anti-kimonisti, persino le autorità della Repubblica Popolare Cinese, che avevano impostato un insegnamento puramente su base sportiva, decisero una ventina d’anni fa di introdurre un sistema di gradazione – non di cinture – che in qualche modo “certificasse” il curriculum studiorum di coloro i quali desiderassero tale certificazione.
 
Quindi…. BUONA CINTURA NERA a tutti, se proprio la volete!
 
 
S.Diego

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